Oggi viaggiamo sicuri sulle nostre automobili anche a velocità elevate, con ogni clima e con fondi stradali pessimi. Certamente il motore e la carrozzeria sono importanti, ma sono gli pneumatici a sostenerci, sono gli pneumatici a isolarci dall’ambiente esterno e, soprattutto, sono sempre loro a tirarci fuori da situazioni pericolose.

Gli pneumatici sono, forse, l’applicazione più conosciuta della gomma che, nella forma naturale, era già importata in grandi quantità sin dai primi anni del ‘900 dalle foreste del Brasile. La gomma contribuì all’arricchimento di un’intera regione brasiliana (Parà) che diede anche il nome all’albero della gomma.

La storia della gomma in Europa

Il primo riferimento alla gomma naturale in Europa si ha nel 1735 quando viene introdotto un lattice ottenuto da una pianta che cresce lungo le rive del Rio delle amazzoni: il prodotto essiccato era chiamato dagli indigeni cakucku (caoutchou). La prima applicazione di un prodotto ottenuto solubilizzando il lattice in solventi, fu la gomma per cancellare (indian rubber) cui seguì l’impermeabilizzazione dei tessuti. Un certo sig. Goodyear (dice qualcosa?) nel 1835 introdusse nel lattice magnesia e calce per stabilizzarlo alla presenza di calore, quattro anni dopo scoprì, per caso, la gomma vulcanizzata ottenuta introducendo zolfo nella gomma in grado di formare legami a ponte fra le macromolecole.

Comincia così, in occidente, l’avventura della gomma e chi si beava dei risultati di un monopolio dovuto alla estrema localizzazione della pianta, si è dovuto confrontare con un certo Sig. Wikham che, al servizio dell’Impero Britannico e nonostante il divieto di esportazione dei semi di Hevea brasiliensis, diede origine alle piantagioni di Ceylon (la moderna Sri Lanka), Giava, Sumatra e Indie orientali. Nel 1940 la produzione di gomma naturale greggia arrivò a oltre 1.5 milioni di tonnellate, ma già si cominciò a produrre gomma sintetica che di lì a poco avrebbe soppiantato quella naturale riducendone il mercato.

Già nel 1838 alcuni chimici avevano intuito che il componente principale del caucciù fosse un idrocarburo identificato come isoprene che, all’epoca, si poteva produrre sinteticamente utilizzando limonene (l’essenza degli agrumi) o dalla trementina. La scoperta, nel 1910, che l’isoprene poteva polimerizzare dando un prodotto macromolecolare simile al caucciù, contribuisce all’introduzione di gomma sintetica nel mercato. Alla fine degli anni 20 del secolo scorso, si scoprì che facendo polimerizzare il butadiene con lo stirene si potevano ottenere polimeri aventi proprietà simili o addirittura superiori a quelle della gomma naturale.

Durante la seconda guerra mondiale gli USA cominciarono a produrre gomma sintetica partendo prevalentemente da idrocarburi di origine petrolifera. Oggi lo pneumatico è un oggetto molto complesso alla cui base, però, c’è ancora il copolimero stirene-butadiene. Per analogia, anche le scarpe utilizzano il copolimero per suola e tacchi!